Valerio Bellone - Photography

Khway chang – Thailand elephant riders

The photos are a low-resolution to speed up web viewing.

Year – 2011

Location – Thailand: Chiang Mai province

Story

Those who have been mostly known to Westerners as mahouts, the owners and/or riders of Indian elephants, are called khway chang or simply khway in Thailand.

Although feelings of love and respect for animals have grown in recent years, it is important to remember that just over 10 years ago (the photographic work is from 2011) in countries like Thailand, the elephant was nothing different from what animals like horses, camels, or other large animals represented in other parts of the world. That is, nothing more than work animals. Elephants, like many types of equines, have had various functions throughout history, such as transportation, warfare, and heavy labor. Specifically, in Thailand, the elephant has followed the needs of the population during different historical periods. For example, Thai elephants were used for warfare during the reign of Ramkhamhaeng the Great of Sukhothai. In more recent times, they were exploited to transport large quantities of timber and to fell trees, and finally, when deforestation was partially banned, the role of the elephant was readapted, and they were employed as tourist attractions and for recreational transportation of foreign visitors. It should also be noted that Thai farmers in various areas of the country have repeatedly come into conflict with wild elephants over territory disputes.
Therefore, it can be understood that elephants have not had an easy life in inhabited areas throughout Thai history and have often been imprisoned, exploited, or raised in captivity. With this necessary preface, the photos I took in 2011 of some khway chang in the Chiang Mai area show the most recent part of the use of elephants, namely tourism, on the fine line between love and exploitation in chains of the animal.
Even today, I cannot give a definitive and entirely critical judgment of the young men I met. If I condemned them, I would have to do the same with everyone who keeps a dog in a city apartment, who takes it for walks on a leash; who “loves” it for their personal need for affection; who uses it for recreational hunting; who uses it to sublimate their frustrations related to possession and control; and so on. In other words, love for animals is often a psychological escape. But those who truly love animals would only want to see them free in their natural environments. It is certainly true that dogs – as well as cats, horses, elephants, etc. – are man’s best friends. But the reverse is not equally true.

I would like to see a world without domestic animals, without pack animals, and animals in farms, but it is not a world we will see in this century, and perhaps not in the next. Nevertheless, it is certainly progress that today many tourists visiting Thailand prefer places where elephants are not kept in chains and where riding them is forbidden. Perhaps it is a first step towards their ultimate liberation.

Racconto

Quelli che dagli occidentali sono stati per lo più conosciuti con il nome mahout, ovvero i proprietari e/o trasportatori di elefanti indiani, in Thailandia vengono chiamati khway chang o più semplicemente khway.

Sebbene negli ultimi anni sono cresciuti i sentimenti di amore e rispetto per gli animali, è bene ricordare che sino a poco più di 10 anni fa (il lavoro fotografico è del 2011) in paesi come la Thailandia l’elefante non era nulla di diverso da quello che hanno rappresentato in altre aree del mondo animali quali il cavallo, il cammello o altri animali di grandi dimensioni. Ovvero, nulla più che animali da lavoro. Gli elefanti, così come molti tipi di equini, nel corso della storia hanno avuto diverse funzioni come il trasporto, la guerra e il lavoro pesante. In particolare in Thailandia l’elefante ha seguito le necessità della popolazione durane diversi momenti storici.
Gli elefanti thailandesi vennero per esempio adoperati per la guerra durante il regno di Ramkhamhaeng il Grande di Sukhothai. In un’epoca più recente vennero sfruttati per trasportare grandi quantità di legname e per abbattere gli alberi e infine, quando venne vietato in parte il disboscamento, la funzione dell’elefante venne riadattata e furono impiegati come attrazione turistica e come trasporto ludico dei visitatori stranieri. Inoltre è da segnalare che i contadini thailandesi di varie aree del paese nel corso del tempo sono entrati diverse volte in conflitto con gli elefanti selvatici per la contesa del territorio.
Si
può quindi comprendere che l’elefante nel corso della storia thailandese non ha avuto vita facile nelle zone abitati dalle persone e il più delle volte è stato imprigionato, sfruttato o allevato in cattività.
Fatta questa doverosa premessa le foto che realizzai nel 2011 ad alcuni
khway chang della zona di Chiang Mai mostrano la parte più recente dell’utilizzo degli elefanti, ovvero quello turistico, sulla linea di confine tra amore e sfruttamento in catene dell’animale.
Ancora oggi non riesco a dare un giudizio netto e definitivamente critico ai ragazzi che conobbi. Se li condannassi dovrei fare lo stesso con ogni persona che tiene un cane in un appartamento in città, che lo porta in giro al guinzaglio; che lo “ama” per il suo personale bisogno di affetto; che lo usa per andare a caccia per divertimento; che lo utilizza per sublimare le sue frustrazioni legate al possesso e al comando; e così via dicendo. In poche parole, spesso l’amore per gli animali è un escamotage psicologico. Ma chi davvero ama gli animali vorrebbe soltanto vederli liberi nei loro ambienti naturali. È certamente vero che il cane – così come il gatto, il cavallo, l’elefante ecc. – sono i migliori amici dell’uomo. Ma il contrario non è altrettanto vero.

Mi piacerebbe vedere un mondo senza animali domestici, senza animali da soma e animali dentro gli allevamenti, ma non è un mondo che si vedrà in questo secolo e forse nemmeno nei prossimi. A ogni modo è certamente un progresso il fatto che oggi molti dei turisti che si recano in Thailandia privilegiano i luoghi nei quali gli elefanti non sono tenuti in catene e nei quali è vietato cavalcarli. Forse è un primo passo verso la loro definitiva liberazione.

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